Intervista Raffaele Maiorano

Intervista a Raffaele Maiorano, Delegato nazionale Confagricoltura sugli SDGs e sostenibilità.


Per attuare i principi della tutela ambientale ed abbassare le pressioni sulla biodiversità, a tuo avviso, la localizzazione degli SDGs, potrebbe diventare funzione delle specificità e originalità delle soluzioni locali?

Siamo entrati nella decade degli SDGs, da questo 2020 abbiamo 10 anni per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030. In confronto con rappresentanti delle Nazioni Unite, si dialogava su come gli SDGs possano essere uno strumento per uscire dalla crisi e di come il concetto di sviluppo sostenibile possa aiutare le aziende, nel mio caso quelle del comparto agroalimentare, ma anche aziende di tutti gli altri settori, o le stesse smart cities che hanno una forte connotazione legata agli SDGs, ad affrontare le moltissime problematiche che viviamo nella quotidianità come tutti gli altri aspetti della nostra quotidianità.

Nel campo agroalimentare diventa inevitabile e ci era già stata l’intuizione (che ho avuto modo di approfondire nel mio libro SDGs 4 Business): come fa oggi un’impresa a partire dal concetto di sostenibilità economica e a misurare il proprio impatto, attuando una serie di investimenti sulla sostenibilità e ad aver una ripercussione virtuosa nel confronto di una sostenibilità ambientale e sociale. Siamo partiti dal presupposto che il paradigma della sostenibilità vada cambiato. Oggi siamo abituati a percepirla come esperienza top-down: governi, nazioni e le stesse Nazioni Unite e i suoi rappresentanti di una globalità di politiche e policies, potrebbero tendere a calare dall’alto l’obbligo di cambiare i propri processi, i propri prodotti e di andare a cambiare il proprio pensiero dal punto di vista imprenditoriale, con un processo costosissimo. E oggi è veramente costoso per un’azienda, vista anche la crisi contingente attuale: mancato reddito, mercati fermi, soprattutto finanziari. In un periodo come questo, chiedere ad un’azienda di cambiare processi e prodotti non è immediato. Cosa abbiamo pensato? Partendo invece da una situazione bottom-up nella quale prima di cambiare l’impatto, il mio processo, il mio prodotto io possa fare un reale calcolo sulla reale economicità dell’intraprendere un’azione volta alla sostenibilità. Il cambiamento diventa positivo e virtuoso nel momento in cui da business planning o da altri business model che utilizziamo per questa misurazione, ci rendiamo conto che questa misurazione è positiva. Se io ho un vantaggio da imprenditore, avrò poi anche un vantaggio dal punto di vista ambientale, sociale, da cittadino e abitante di questo Pianeta e per le future generazioni. Da un punto di vista locale tale approccio risulta più importante che dal punto di vista internazionale, perché tante piccole località bottom-up dovrebbero raggiungere facilmente un obiettivo, senza dover modificare troppo norme, processi e prodotti, senza un grande onere ma con un grande vantaggio per le imprese.

A livello nazionale ed internazionale, quali sono i meccanismi di gestione integrata e intersettoriale, che tengano conto dei compromessi della produzione cibo, acqua, energia, ma anche della conservazione della biodiversità?

Su questo aspetto ci confrontiamo spesso all’interno di Confagricoltura e bisogna partire da due grandi concetti: da un lato c’è il precision farming, agricoltura di precisione che oggi ti permette di utilizzare l’innovazione e la tecnologia per ottimizzare le operazioni in campo, per ridurre consumi e sprechi, per intervenire in maniera mirata per limitare consumo fitofarmaci di concimi chimici. Un grosso incentivo all’impiego del precision farming per la prima parte della filiera agricola è fondamentale. Il secondo concetto è lo smart farming, possibilità di creare sistema, fare economia circolare, di considerare i rifiuti come qualcosa di positivo, di nutrimento, di considerare la diversità e biodiversità come nuova leva sulla quale intraprendere delle attività economiche accessorie, utilizzare fonti rinnovabili. In generale è importante parlare di pensiero sistemico: la capacità di essere smart, interconnessi, digitali, di avere sotto controllo l’attività aziendale e in questo modo di dialogare in modo efficace ed efficiente lungo tutta la filiera. In questo modo non solo ci sarà la tracciabilità, come ad esempio la blockchain e una serie di altri strumenti, ma in questo modo ci sarà controllo della filiera, della domanda e dell’offerta, del concetto di qualità oggettivo e replicabile.

Secondo me, rispetto a questi due temi siamo passi avanti e da punto di vista di sostenibilità economica, il vantaggio è solidificato.

Si parla molto di smart farming, di innovazione 4.0 applicata all’agricoltura. Risulta difficile passare e promuovere tali conoscenze al grande pubblico. Quali possono essere le leve e chiavi di comunicazione per fare in modo che tali competenze vengano trasmesse, di un’agricoltura sostenibile perché rispetta ambiente, biodiversità e sociale. E un tuo pensiero sul tema degli impollinatori, cruciale in agricoltura?

Come si fa ad arrivare al consumatore? Bisogna individuare il modo di raccontare al consumatore lungo tutto la filiera che avere zero emissioni, fare le cose in un certo modo, inquinare di meno, produrre con raziocinio, faccia un prodotto che non sia solo più buono ma sicuramente più pulito e che merita di essere valorizzato.

Per fare accadere tutto ciò, occorre che da un punto di vista internazionale ci sia un sistema coercitivo a produrre meglio, dato da incentivi. Se non si arriva a raccontarlo a livello sistemico, ci deve essere una campagna di comunicazione internazionale massiva nei confronti di un prodotto tracciato, di qualità, su cui si può sapere davvero quanto sia inquinato (food print di un prodotto). Ci deve essere necessariamente essere un supporto intergovernativo. Deve essere sistemica.

Gli SDGs sicuramente aiutano. Personalmente ritengo che se nella decade si lavorasse bene, attraverso la misurazione degli SDGs, si potrebbero superare tutte le centinaia di certificazioni oggi esistenti e che creano confusione. Troppe informazioni, creano confusioni.

Se ci sono delle linee guida che definiscono cosa è sostenibile e cosa no, attribuendo valori e rating –  un index sui cui stiamo lavorando con le Nazioni Unite e la FAO – allora la valorizzazione avviene.

Questo vale per gli impollinatori. Le api sono fondamentali. In Confagricoltura c’è la Federazione degli Apicoltori Italiani (FAI) che si batte tantissimo per la salvaguardia e il recupero delle api e degli apicoltori. Il cambiamento climatico, la mancanza di acqua, le temperature che aumentano fanno molto male agli insetti così come all’agricoltura. Se l’agricoltura soffre, l’agricoltura non è controllata, l’insetto è il primo che viene schiacciato. Torniamo sempre al valore di un pensiero sistemico. Riuscire ad avere un grande progetto, nel quale la biodiversità venga salvaguardata, in cui c’è un’attenzione all’agricoltura di precisione, in cui l’agricoltura diventa smart, si utilizza economia circolare. Il tutto legato ad una logica di profitto. Se le aziende chiudono per essere socialmente o ambientalmente utili, diventa difficile preservare gli insetti. Credo molto nell’attività agricola e il fattore economico è fondamentale per cui occorre creare dei tavoli di concertazione a livello internazionale, le organizzazioni devono lavorare in un certo modo, la politica non deve lavorare sul consenso immediato ma provare a concentrarsi su un sistema strategico e sistemico. Il green new deal rappresenta un passo eccezionale. Bisogna vedere anche cosa faranno gli altri continenti. Se solo l’Europa è virtuosa, verremo invasi da prodotti che vengano realizzati alla vecchia maniera.Occorre lo stesso livello di attenzione alla qualità e sostenibilità. Il mondo è uno e il Pianeta una risorsa finita, non si può pensare di avere risorse illimitate.