Presidente, A suo avviso, come si può percepire il potere legale di un documento strategico come il Green New Deal piuttosto in termini dell’equilibrio tra diritti e doveri?
Diritti e doveri sono i due lati della stessa medaglia e solo nello spiegare la complessità analitica possono essere visualizzati separatamente. Però, prima di tutto, nel contesto del Green New Deal è molto importante fare una distinzione tra due principali tipologie dei diritti. Oltre ai diritti umani non negoziabili da garantire a ciascun individuo, esiste un altro importante tipo di diritti da affrontare come parte dell’impegno strategico espresso in questo documento. Questi sono diritti civili derivanti dalla nostra appartenenza alla comunità, indipendentemente dal fatto che sia locale, nazionale o internazionale. All’interno di tale impostazione, diritti civili implicano altissimo livello di interdipendenza e possono essere goduti solo nel mondo dei doveri compiuti. Green New Deal fa un ulteriore passo avanti e ci pone il compito di elaborare il quadro normativo ambientale e di calibrare diritti e doveri tra esseri umani e la "natura".
Quindi l’equilibrio da costruire richiede sistemi legali che regolino i rapporti umani con la terra e l’ambiente simultaneamente cercando di consentire lo sviluppo economico sostenibile. Formalmente, per il momento siamo sulla buona strada - cioè, il diritto a un ambiente sano ha ottenuto il riconoscimento e la protezione costituzionale come la più forte forma di protezione legale disponibile in oltre di 100 paesi. Circa due terzi dei diritti costituzionali si riferiscono a un ambiente sano mentre formulazioni alternative comprendono i diritti a un ambiente pulito, sicuro, favorevole, salubre o ecologicamente equilibrato.
Tuttavia, la definizione di una prospettiva di ricerca non è solo una questione di definizione del sistema, ma di ridimensionamento che può fornire una base metodologica fruttuosa per indagare i rielaborati campi di potere all’interno dei quali si trovino i giusti meccanismi di applicazione. A quel punto, i doveri vengono posti al centro del panorama legale. In grandi linee possiamo individuare tre diversi meccanismi per esprimerli: doveri per rispettare i diritti degli altri (i cosiddetti doveri correlativi); doveri di non esercitare diritti contrari a determinati interessi statali o individuali (intesi come le limitazioni dei diritti); e doveri indipendenti (i cosiddetti non correlativi).
Oggi anche il tema dello sviluppo è strettamente legato ai doveri che si presentano dal nostro rapporto con l’ambiente naturale. I doveri come tali fissano un limite ai diritti perché indicano il quadro antropologico ed etico di cui i diritti sono a parte, assicurando che questi non diventino una semplice licenza. In questo modo i doveri rafforzano i diritti e chiedono la loro difesa e promozione come compito da svolgere nel servizio del bene comune.
Che tipo di risorse, secondo Lei, dobbiamo mobilitare per prime per mettere il benessere sociale al centro delle politiche di sviluppo? Che tipo di strumenti possiamo mettere in campo per avvicinarci alla giustizia e al dialogo intergenerazionale, percepiti come leve chiavi del cambiamento?
Green New Deal correttamente mette il benessere sociale come contrappeso a tutti gli impegni previsti nel percorso verso un’economia decarbonizzata perché l’economia ha bisogno dell’etica per poter funzionare correttamente - non un’etica di alcun tipo, ma un’etica centrata sulle persone. Per ottenerla, la formazione deve diventare la priorità assoluta dello sviluppo perché solo generando le nuove conoscenze saremo in grado di creare capitale umano pronto di affrontare il potere del cambiamento al favore di tutti. A parte della ricostruzione del sistema scolastico che offre agli studenti un programma ecocompatibile approvato dal governo con una forte componente di giustizia climatica che ad alcuni potrebbe sembrare come un buon modo per creare i profili dei cittadini adatti al futuro, la creazione delle conoscenze dovrà andare oltre e diventare parte della diplomazia scientifica il cui allargamento concettuale coincide con la crescente comprensione che la scienza e la tecnologia sono alla base di tante opportunità che le società attuali possano usufruire come potenziale soluzione.
Per quanto riguarda l’impegno dell’UE, interessante impulso è stato fatto con la Dichiarazione di Madrid sulla diplomazia scientifica adottata al convegno “Diplomazia scientifica europea oltre il 2020", tenutosi a Madrid nel dicembre dello scorso anno. Questa Dichiarazione, nonostante sia un documento non vincolante, si allinea perfettamente con gli obiettivi del Green New Deal proclamando una visione comune della diplomazia scientifica in futuro, sottolinea i benefici che la stessa può portare e delinea i principi necessari per promuoverla in tutto il mondo. Questa confluenza di interessi deve andare a beneficio della giustizia e del dialogo intergenerazionale, percepiti come leve chiavi del cambiamento. Quindi, Green New Deal offre un terreno fertile per la governance adattiva cha abbia la forza di spiegare perché creare un significativo coinvolgimento dei giovani dovrebbe essere compreso in termini di dialogo intergenerazionale, collaborazione, apprendimento e processo decisionale.
Il Green Deal europeo è stato definito "un’occasione per garantire alle giovani generazioni europee un futuro pulito e prospero". Lei cosa ne pensa? Come vede il ruolo dei giovani nel futuro dell’Europa?
La stampa nazionale ed internazionale, prima e dopo la pandemia, si è riempita di articoli dedicati ai giovani e a come, sulla spinta del movimento dei Friday for Future, abbiano fatto sentire la loro voce. Io personalmente credo che la prospettiva sia diversa: le “manifestazioni del venerdì” sono state solamente il momento mediaticamente rilevante in cui la stampa ha preso coscienza di come i giovani stessero già agendo con un livello di consapevolezza ambientale e sociale inaspettato ed elevato.
Il Green Deal europeo, con lo stanziamento di 1000 miliardi di €, l’introduzione della Climate Law e la proposta di strategie dedicate alle filiere produttive, offre molte occasioni e evidenzia molte sfide. La transizione verso il futuro sostenibile è inevitabilmente pervasa di cambiamenti, anche radicali e difficili. I giovani, i millennials, hanno dimostrato di avere voglia, capacità e desiderio di cambiamento. Se il Green Deal sarà declinato dai paesi europei in occasioni di formazione, di impresa e innovazione, non ho alcun dubbio che i giovani saranno parte fondante del cambiamento.
Il settore agroindustriale può essere un buon esempio: i dati ci dicono già che in agricoltura, nonostante le difficoltà, la trasformazione verso la sostenibilità è guidata dalla nuova generazione di imprenditori. Ma il settore è anche un esempio delle difficoltà esistenti: è sempre meno permeabile per i nuovi venuti, gli alti costi di ingresso e i rischi di impresa rendono faticoso un cambiamento radicale – alla radice di paradigmi e modelli da superare con una transizione verso la piena sostenibilità. Se il Green Deal offrirà maggiore apertura e ovvierà a questi e ai simili ostacoli, i giovani sapranno fare la loro parte.
In aprile, secondo il cronogramma previsto per il Green Deal, la Commissione Europea avrebbe dovuto essere presentata la strategia “Dal produttore al consumatore”, per rendere i sistemi alimentari più sostenibili. Quale futuro vede per i sistemi alimentari europei, per l’applicazione e la tutela del diritto al cibo in Europa?
Tutela del diritto al cibo e sistemi alimentari sostenibili sono imprese “possibili”, su cui lavoro da anni come presidente del Milan Center for Food Law and Policy e come chair della cattedra UNESCO Food: Access and Law. E l’Europa si presenta preparata per affrontare nei prossimi anni le due sfide cruciali: la tutela dei diritti umani nella filiera e l’adozione di tecniche e tecnologie sostenibili. La Politica Agricola Comune europea – nonostante le critiche – ha adottato nuovi approcci, promuovendo la riduzione dei trade-off del settore e favorendo finanziamenti per le imprese agricole green. Inoltre, il cambiamento di visione fa sperare che – e in questo senso ruota la grande attesa intorno alla strategia “Dal produttore al consumatore” della Commissione Europea – la politica diventi una common food policy, offrendo finalmente l’occasione di coordinare azioni, normative e finanziamenti sulle filiere europee, nel loro complesso. Esiste poi il Fondo di Transizione Giusta (Just Transition Fund), la cui istituzione sottolinea l’idea che la transizione – energetica, ma non solo – debba essere accompagnata da “giustizia sociale”. L’equità e la tutela del diritto nei sistemi alimentari sono temi cruciali, da cui dipende molto dell’effettiva applicazione universale del diritto al cibo. Per ora i 7,5 miliardi stanziati saranno investiti nel settore energetico, ma l’approccio complessivo evidenzia come l’orientamento dello sviluppo futuro dell’Europa sia stato individuato e lo sforzo dei paesi sia congiunto per raggiungerlo – non a caso, si è parlato di un Green Deal mission-oriented. Sebbene il periodo non sia semplice, esistono valide motivazioni per avere fiducia nel futuro e nei prossimi anni. Le incognite sono molte, ma se saremo capaci di resilienza, innovazione e coraggio, le sfide del prossimo futuro sono alla nostra portata.